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Il Molo San Vincenzo a Napoli
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Testo di  Stefano Montone
Fotografie di  Stefano Montone
Data Pubblicazione  26/11/2004

Nell’ansa più settentrionale del Golfo di Napoli è situato il porto la cui estensione è di 1.336.000 mq. con una superficie di specchio acqueo di 2.792.550 mq.
E’ delimitato a ponente dall’antico Molo San Vincenzo, posto a difesa del porto, ed a levante dalla diga foranea Emanuele Filiberto duca d’Aosta.

Il San Vincenzo fu sicuramente il primo vero porto commerciale e strategico napoletano.
Dunque oggi parliamo proprio del Molo San Vincenzo, una antica diga foranea edificata molti secoli or sono e oggi in gran parte abbandonata in cui trovano ricovero vecchie navi abbandonate.
Nel mentre è al via il progetto di recupero dell’area, l’unica attività che porta vigore al Molo San Vincenzo è proprio la pesca.
Infatti questo è uno dei campi gara Italiani più gettonati per quanto riguarda la tecnica della canna da riva.
Ogni anno si tiene la fase finale del massimo campionato. Lo stesso molo è però meta di tutte le gare minori che si tengono in provincia di Napoli.

Parte esterna della diga foranea Parte interna del molo
Parte esterna della diga foranea Parte esterna della diga foranea

Al molo San Vincenzo abbondano, saraghi, menole, cefali, occhiate, salpe e aguglie.
Durante le gare si può scegliere di pescare i pesci di scoglio proprio sotto ai piedi, oppure di tentare i “cefaloni napoletani” con lunghe canne fisse.
I cefali si possono ingannare con la pastella di pane e formaggio, anche se per questa tecnica bisogna essere veri e propri cultori, infatti la circostanza di cambiare la pastella ogni due minuti può essere stressante. Allora ci sono quelli come me che i cefali preferiscono pescarli con la tremolina o il bigattino, il tutto sempre accompagnato da pasturazione abbondante a base di sarda o formaggio.

Qui però è molto usato anche l’innesco di un pezzettino di “esca rossa” ovvero l’arenicola napoletana che oramai diventa sempre più rara ed è quasi stata soppiantata da quella di importazione che tra l’altro si mantiene per più tempo, si trova tutto l’anno e a volte costa di meno.

Panoramica del campo di gara durante una competizione
   
Foto del campo di gara durante una competizione

Dunque una meta di pesca metropolitana che non ha nulla da invidiare ai più blasonati porti turistici.
In un prossimo articolo, vi regaleremo una carrellata su tutti i moli napoletani con tanto di tecniche e dritte!!

A Napoli ci sono molti negozi di pesca, ma il meglio in fatto di pasture ed esche studiate appositamente per il cefalo, in tutte le sue varietà, potrete trovarle ad Aversa presso il negozio Dynema Fishing Sport in via Matilde Serao n° 16.

La storia del Molo San Vincenzo

Le prime opere portuali risalgono al Medioevo nell’ambito del porto romano di Vulpulum, seguite poi nei secoli dalla costruzione di numerose opere foranee.
Un periodo di sviluppo e prosperità per il porto di Napoli, caratterizzato da un notevole incremento del commercio, risale alla dominazione sveva di Federico II. Il re, abolendo le dogane interne e adottando misure liberatorie, agevolò gli scambi e l’arrivo degli stranieri, concedendo a questi ultimi, anche favorendoli con privilegi, di intraprendere attività nell’ambito del Regno. Napoli esportava lino, i nastri di Cava dei Tirreni, le sete, le lane, i prodotti agricoli; il suo porto divenne una stazione d’obbligo per le navi che solcavano il Tirreno.

Furono poi gli Angioini (Carlo I e Carlo II) a rendere Napoli la "prima città del mondo" per gli scambi con l’Europa e per l’arrivo dei capitali di banchieri toscani e sardi. Durante il regno di Carlo I d’Angiò furono costruite opere di grandissimo rilievo come la nuova reggia a Castelnuovo e la città divenne la più popolosa e la più ammirata d’Europa dove confluivano artisti e poeti di ogni matrice, da Tommaso d’Aquino a Giotto, Petrarca e Boccaccio.

Con gli Angioini, e per tutto il secolo XIV, il porto si delineò, da Castelnuovo al Carmine, in quella configurazione sopravvissuta quasi fino ai nostri giorni.
A differenza delle precedenti dominazioni, gli Aragonesi (1442-1500) affidarono il comando esclusivamente ai cittadini più meritevoli, eliminando il capitale straniero dal Regno. Essi si dedicarono soprattutto all’ampliamento ed alla fortificazione del porto (costruzione del primo faro – 1487), si prodigarono nello sviluppo dei mestieri marinari e diedero grosso rilievo al commercio.

Con l’avvento del Vicereame Spagnolo, Napoli perse la sua indipendenza e da capitale diventò città satellitare del trono di Spagna. Nei primi decenni del XVI secolo tutte le attività economiche e mercantili della città furono avvolte da un diffuso offuscamento. Solo con Pietro di Toledo Napoli riuscì a risalire la china. Si deve a quest’ultimo una delle prime iniziative ecologiche della storia a tutela delle acque portuali dall’inquinamento.

Alla morte di Pietro di Toledo (1570) il vicereame godeva di condizioni floride in materia di commercio. L’altra faccia della medaglia era però costituita dalle condizioni di vita pessime degli abitanti della città: strade insicure e infestate dai briganti, l’atteggiamento sempre più sanguisuga degli Spagnoli, le scorribande dei Turchi per il Mediterraneo e carestie che colpivano e impoverivano sempre più la popolazione; una società che andava a rotoli. Si arrivò alla rivolta guidata da Masaniello. A peggiorare la situazione seguì la peste nel 1656. Il popolo era ormai allo stremo, l’economia a rotoli, la corruzione e lo sfascio amministrativo diffusi.
Anche la flotta militare mercantile, affidata all’intervento del ministro Acton, fu resa molto più potente.

Durante l’alleanza del Regno di Napoli con l’Inghilterra l’economia del porto attraversò un periodo molto meno prospero dovuto al fatto che gli inglesi avevano interrotto l’esportazione del grano e introdotto invece sul mercato i propri prodotti manifatturieri a prezzi molto competitivi.
Nel giro di una decina di anni il fronte delle alleanze si capovolse di nuovo.

Il periodo del terzo ritorno dei Borboni (1815-1860) fu prospero per l’economia e per il porto di Napoli e nel 1818 partì dal golfo partenopeo verso Marsiglia la prima nave a vapore del Mediterraneo.
Ferdinando I e poi Francesco I riordinarono la marina mercantile ed i traffici marittimi apportando modifiche nella legislazione a suo tempo emanata da Carlo III. A Francesco I si deve l’internazionalizzazione del settore: Napoli fu il primo Stato italiano ad aprire a Washington un "Consolato Generale Napoletano negli Stati Uniti d’America". La città riallacciò così rapporti ufficiali col mondo islamico e turco ed ebbe libero transito nel Mar Nero.

Tra il 1826 ed il 1836 con Ferdinando II si realizzò, nella darsena che oggi si chiama San Vincenzo, un porto militare. Tra il 1850 ed il 1852 fu costruito il primo bacino di carenaggio italiano in muratura e sorse, fra i moli Angioino e San Gennaro, il primo faro lenticolare d'Italia.

Al momento dell’unità d’Italia, la situazione della flotta e del porto era florida e l’ex Regno delle due Sicilie godeva di una grande prosperità economica. Ma tutto il potenziale finanziario, che avrebbe dovuto rendere Napoli un moderno centro industriale, andò quasi prevalentemente al Nord. Ben presto la popolazione divenne sempre più povera e l’emigrazione inarrestabile.
Anche il movimento commerciale decrebbe tanto da essere cinque volte al di sotto di Genova, assorbendo a stento la dodicesima parte del commercio nazionale.

Per quanto riguarda le opere portuali, alla fine dell’800, il porto, esteso lungo la strada della Marina, mancava ancora di bacini di carenaggio. Nell’ultimo scorcio del secolo fu edificata la Stazione Marittima, fu iniziata la costruzione di una diga di protezione che terminò nel 1911 insieme all’ultimazione di due bacini di carenaggio e due scali di costruzione che fanno parte dell’attuale darsena dei Bacini. Una legge del 1904 stabilì la costruzione di un nuovo bacino commerciale con una nuova diga foranea. Negli anni immediatamente successivi si iniziarono a formare il pontile Vittorio Emanuele ed il molo Cesario Console.

Nel 1818 nasce il primo Ente Autonomo del Porto, soppresso poi nel 1922 e rifondato nel 1940.
Durante il ventennio fascista il porto di Napoli fu sede di importanti lavori urbanistici e infrastrutturali. Fu positivo il periodo fra il primo dopoguerra ed il 1936 durante il quale il volume del movimento marittimo aumentò notevolmente e Napoli occupava il terzo posto nella classifica dei porti nazionali.
Il periodo di maggiore decadenza fu sicuramente il quinquennio della seconda guerra mondiale, alla fine del quale del porto non rimasero che macerie.

La ripresa andò molto a rilento. Gli anni successivi alla ricostruzione, nonostante l’effettuazione di numerosi interventi di consolidamento, ampliamento e ammodernamento delle strutture, non rappresentarono comunque un momento positivo per i traffici tra Napoli ed il Mediterraneo, a causa della chiusura del Canale di Suez e dei conflitti del vicino Oriente.

Negli anni ’60 gli stanziamenti previsti dal Piano Azzurro per il riammodernamento dei porti non furono sufficienti a risolvere le problematiche esistenti; situazione poi peggiorata dal terremoto degli anni ‘80 che isolò maggiormente Napoli dal traffico delle merci e dei passeggeri.

Alla fine degli anni ’80, per lo sviluppo dello scalo, si tese alla rivalutazione dei collegamenti marittimi brevi lungo il litorale campano (la via del mare), alla risistemazione e all’ampliamento del porto nelle zone di levante, intensificando i collegamenti con tutti gli altri porti della costa.

Con la legge 84/94 la gestione del porto partenopeo è passata dal Consorzio Autonomo del Porto (istituito nel 1974) all’Autorità Portuale di Napoli.
 



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