Salvo si alzò
presto quel mattino e, da come armeggiava quel piccolo triangolo che aveva in
mano, si capiva che doveva uscire a pesca. Cosa volesse farne di quel ferretto
lo sapeva solo lui. Da come lo guardava però, doveva trattarsi di qualcosa per
la sua traina. Una innovazione. Una di quelle trovate elementari che poi si
rivelano validissime; oppure, chissà?
La moglie del pescatore, Marta, s'era già levata da un pezzo
e, a dire il vero, le interessava ben poco lo stupido triangolino che il marito
teneva in mano. La donna se ne stava vicino alla finestra a fare la maglia con
una lana senza più colore. Davanti a lei, la foto della figlia ritratta in abito
da sposa. A giudicare dal comportamento dei due, ognuno avrebbe detto che si
sopportavano appena; specialmente da quando la figlia era andata a vivere in una
città lontana col suo sposo. Salvo manovrava quel suo pezzetto di ferro a
triangolo ottenuto con un tondino di cinque millimetri e si soffermava a
pensare. Poi lo portava vicino all'occhio e vi guardava attraverso. In quei
momenti egli era lontano e chissà in quali mari, in quali paradisi trasferiva i
suoi occhi.
Il pescatore infilò un paio di calzini bucati che ormai
metteva da tanti giorni; mandò giù un altro boccone amaro nel pozzo dove metteva
tutti gli altri e si portò davanti alla finestra per respirare. Il mare era
calmo di una calma strana; il cielo era limpido, anche se all'orizzonte, si
vedeva un piccolo neo, un puntino nero che stava giusto dentro il triangolino di
Salvo.
Nel terrazzino della casa, i gerani, il basilico, la menta e
le altre piante, da tempo senza cure, erano mezze secche: le buganvillee e
l'ipomea, anche se capaci di procurarsi l'acqua da sole, fiorivano male,
soffrivano di malinconia. I fili tesi tra un muretto e l'altro per asciugare i
panni, erano spogli da tanto tempo. Marta non aveva più voglia di fare nulla;
non lavava, non stirava, lasciava ogni cosa in abbandono. Non le si poteva
nemmeno rivolgere la parola.
Salvo prese la borsa con le traine; prese l'esca dal
frigorifero; mise in spalla i remi, il mezzo marinaio, il raffio ed uscì di casa
con quel ferretto infilato tra due dita; lo maneggiò un poco e poi lo infilò in
tasca. Quel puntino nero all'orizzonte che aveva visto prima s'era fatto un po'
più grandino; il mare rimaneva una tavola. Lei non alzò un secondo lo sguardo
dal suo lavoro; non aveva mai accettato per buono il comportamento del marito,
specialmente quando la lasciava per andare a pesca.
Non gli perdonava d'aver saputo conservare il sorriso e che
quella stupida dilettanza potesse dargli sensazioni complete che lei non vedeva,
che lei non capiva. Lei non era gelosa della pesca in se stessa, ma di ciò che
lui provava, della pienezza che gli si leggeva in viso ad ogni ritorno. Per una
ragione o per l'altra, era diventata insofferente, a volte cattiva e si
comportava come se lui non esistesse.
Salvo interrogava spesso il suo cuore su come stavano le cose
laggiù, ma non riceveva alcuna risposta. Lei era sempre in agguato per potergli
rimproverare qualcosa di preciso; e non appena trovava un appiglio non si
fermava più. Gli riversava tutto un passato di stenti, di errori, di insuccessi,
di una vita sprecata per nulla. Lui la lasciava dire, tanto, prima o poi si
sarebbe deciso ad andarsene, laggiù, vicino al mare, nella capanna del suo amico
Camillo. Li non avrebbe più avuto spese nemmeno di cuore. Aveva sì qualcosa da
rimproverarsi, chi non ne ha? Ma messa ogni cosa in ordine, riusciva ancora a
stimarsi. Aveva sempre creduto in ciò che faceva.
Il mondo non era riuscito ad assorbirlo completamente tra le
sue maglie; la ricchezza, la proprietà e tutte le altre cose che la gente
rincorre non lo sfioravano per niente. Lui era ricco di cose che non si
comprano. Viveva della sua pesca e' vero; viveva di quella poesia che a volte
distrae; si assentava con la mente per vivere il suo gioco preferito in un
ambiente gentile, un po' cercato un po' trovato. ma di queste sue fughe, nessuno
sapeva nulla. Era povero, ma non era mai stato in miseria.
Dopo aver fatto qualche passo il pescatore si voltò per dare
un'occhiata alla sua casa che andava in rovina; mandò giù un altro boccone dove
sapeva lui e riprese il cammino verso il porticciolo naturale che ospitava la
sua barca. Come tutti i pescatori che devono raggiungere il posto di pesca,
camminava male, procedeva in precario equilibrio, inciampava. Con la mano in
tasca, intanto, ripassava tra le dita quel triangolino famoso; a cosa gli
servisse, tuttavia, rimaneva un mistero.
Salvo si portò sopra un'altura; si chinò a raccogliere un
pezzo di resina da un ramo di lentisco e lo portò in bocca a mo' di gomma da
masticare. Spostò i mirti e tornò ad osservare il punto nero all'orizzonte.
Stavolta non aveva dubbi. Da lì a poco si sarebbe scatenata una burrasca. "Ponente
maestro". Come quella volta che l'aveva sorpreso in mare, oltre
lo "scavalco" al di là della protezione del golfo, "a mare perso",
e da li in un vortice spaventoso. Niente faceva prevedere quel mare; nel primo
mattino era così sereno che si potevano contare le stelle. "Ponente
maestro" pensò.
"Non posso andare a pesca, ma non
voglio neanche tornare a casa - si disse - me ne
starò su quelle dune di sabbia dove il mare mi restituì alla terra. Dormirò e
penserò. Penserò a quelle meravigliose giornate di pesca; penserò a quel pesce
che mi trascinò per miglia e miglia oltre lo scavalco, a mare perso, a quel
pesce enorme e bello che sapeva tutto; che sapeva esattamente cosa era in
arrivo. Potrò pensare a quando Marta era più trattabile e a quando mi voleva
ancora bene; quando dividevamo ogni respiro. Potrò pensare alla mia bambina, a
tutte queste cose potrò pensare".
Il pescatore camminò per una decina di minuti, depose a terra
i remi, si distese e appoggiò la testa sulla borsa delle lenze. Tirò fuori il
suo ferretto e prese a farlo roteare attorno ad un dito. All'orizzonte intanto,
il puntino nero di prima era diventato una nube nera e minacciosa. Poi l'uomo
portò all'occhio il triangolino e attraverso quel cannocchiale tra le scille
urginee e i gigli pancrazi vide una ragazza dai capelli biondi.
Giovane e rosa in viso, vestiva di seta. Si muoveva leggera
tra la vegetazione come se non posasse per terra; raccoglieva i gigli e le
scille e li osservava come se non ne avesse mai visti. Saltellava ora su un
piede ora sull'altro, passava le dita a pettine tra i capelli e sorrideva di
gioia. Poi uno di quei sorrisi lo dedicò al pescatore che, colto di sorpresa,
rimise in tasca il triangolino.
Il mare cominciava ad agitarsi; al largo la nube nera
avanzava minacciosa, lampi sinistri la squarciavano.
Lampo a ponente - dicevano i vecchi - non lampa per
niente. Sotto di essa infatti, il mare già bolliva di rabbia. Le
barche si affrettavano a rientrare e ce l'avrebbero fatta bene o male, perché
questa volta l'occhio da ponente maestro aveva avvertito in tempo.
Ma quella volta no. Nemmeno il tempo di farsi
la croce. In due minuti s'era scatenato l'inferno. Lui era uscito a traina come
le altre volte, nello stesso modo in cui gli aveva insegnato suo padre e via, da
generazioni. Pescava col vivo, dalla sua piccola imbarcazione che tuttavia era
spinta da un discreto motore. Aveva pescato una decina di sugherelli che avrebbe
usato come esca per i pesci più grossi. Sul fondo del paiolo i sugherelli
vibravano ancora; nei loro occhi grandi simili a piccoli oblò, si vedeva ancora
il mare.
Quel giorno il pescatore sentiva che avrebbe pescato qualcosa
di grosso; anche se una strana inquietudine tirava giù il suo filo. Trainava il
suo sugherello ai margini del branco con un finale d'acciaio ricavato da un
freno di bicicletta. Gli ami glieli saldava il suo amico Gesualdo che era un
maestro in saldature. Era un'attrezzatura artigianale la sua, alla buona, ma
adatta allo scopo. Egli non possedeva canne ne' mulinelli, ma una lenza del
duecento avvolta in un sugherone e tanta esperienza. Una pelle di daino sempre
bagnata gli serviva per non farsi bruciare le mani dalla lenza che filava col
pesce grosso. Lui amava i suoi pesci; per Salvo avevano tutti la stessa
importanza.
Qualche pesce piccolo lo portava a casa per la cena; i
grossi, invéce, al padrone di un ristorante che glieli pagava decentemente. Non
aveva mai preso all'amo un pesce come quello. Appena agganciato partì come un
razzo verso il largo, trascinando la barca per un po'; Salvo allora gli spedì un
paio di quelle "lettere" che stancano anche il pesce più grosso.
Le lettere sono tavolette di legno di 50-60 centimetri
legate in mezzo con una cordicella che all'altro capo monta un moschettone.
Lettere in mare quindi e moschettone passato nella lenza madre che va a pescarlo
per mezzo di un anello fissato lungo il suo corso. L'azione in acqua di tali
tavolette e' facile da immaginare.
Quello però non era un pesce normale, dopo un paio di giri,
si fermò a due metri sotto la superficie, a fianco della imbarcazione. Salvo
prese il raffio, lo immerse, ma anche se era vicinissimo, in nessun modo
riusciva a raggiungere il pesce. Si chiese allora cosa stesse succedendo, guardò
l'orizzonte e capi subito. Tagliare la lenza e prendere la via della costa, fu
questione di un momento. Troppo tardi!
Sulla superficie del mare cominciarono dapprima ad apparire
delle cupole di due, tre metri di diametro che poi si trasformavano in piccoli
vortici. Strisce luminose come folgori sembrava si scagliassero contro la barca,
la attraversassero per poi sorgere dalla parte opposta. Tutto era diventato
bianco. L'acqua era nel vento, il vento era nell'acqua. Le onde erano altissime.
Le strisce luminose ora di grandissima intensità si trasformavano in ruote che
giravano in tutti i sensi, ora a poppa, ora a prua. Spaventoso!
L'uomo era lì in mezzo, solo con la sua banchetta; ma più'
che per se stesso era preoccupato per i suoi cari, di quanto avrebbero sofferto
se non ce l'avesse fatta. Le onde si rivoltavano in paurose cascate che, se si
fossero riversate sulla barca, l'avrebbero spaccata in mille pezzi. Il pescatore
legò l'ancora a rovescio e mollò tutta la corda come gli aveva insegnato suo
padre; così, quando l'onda spaccava, l'ancora tratteneva un po' la barca. Dopo
mille strappi la corda si ruppe, ma Salvo non si perse d'animo; viaggiava
sull'onda alta e, prima che si rompesse, tornava un po' indietro; andava avanti
per dieci metri e tornava indietro per sette. Improvvisamente fu preso da un
vortice e a nulla più servivano le sue esperienze di marinaio; un vortice
spaventoso che inghiottiva ogni cosa. Lui non aveva dimestichezza con i santi,
ma quella volta invocò la protezione della Madonna della fine del
mondo.
La nonna glielo aveva consigliato prima di morire.
Se ti troverai in pericolo in mezzo al mare -
gli aveva detto - chiama questa Madonna; ti sentirà.
Per gli anziani, la fine del mondo era l'estremo lembo del nostro paese. Invocò
la Madonna della fine del mondo, Salvo; un momento prima d'essere inghiottito
dal vortice vide il "Mater cara", l'uccello delle tempeste. Da quel
momento non ricordò più nulla. Si ritrovò dopo chissà quanto tempo sulla sabbia,
con tutta la barca, miracolosamente salvo. Nello stesso punto dove ora
appoggiava, la testa sulla borsa delle lenze.
L'odore acre del lattice del fico, si mescolava con quello
degli origani e degli ambrenti. Le onde tormentavano ancora la costa, ma la
ragazza, quella vestita di seta, si muoveva come se nulla stesse accadendo. "Chi
sei?" le chiese Salvo. "Non mi riconosci?"
"Mi sembra di riconoscerti, ma non ricordo."
" Sono venuta per te Salvo!" "Per
me?" "Si!" "Me
lo regali quel triangolino di ferro che hai in tasca?" "Si,
te lo regalo, ma non so a cosa ti possa servire; e' solo un pezzo di ferro! Che
te ne fai?" "Non è il pezzo di ferro che mi
interessa, ma tutto quello che tu ci vedi dentro. Grazie Salvo, sei grande!"
"Io sono un semplice pescatore, non importo niente a
nessuno!" "Per me sei importantissimo, sei
un gioiello per me. Marta come stà?" "Sta
bene, ma non andiamo molto d'accordo." "Lo
so - rispose - so tutto di te. Quello che sogni e quello che no. Mi sembra pero’
che ultimamente l'hai un po' trascurata. Ha sofferto tanto da quando la vostra
bambina e' andata via. Lei ha bisogno di te."
La giovane mise insieme un mazzetto di gigli del mare e
gliene fece sentire l'odore. "Senti il profumo di
questi fiori non e' meraviqlioso?" "Si, ma
stai attenta dove metti i piedi, potresti farti male." "Grazie
- gli disse - d'aver pensato a me, sei più buono di quanto ricordassi."
Cosi dicendo la bellissima giovane gli diede un dolcissimo
bacio che sapeva di miele e di rose; miele e rose di paradiso. Dolci le labbra,
profumato il respiro, rilucenti di gemme aveva gli occhi. "Ora
so chi sei - scoprì il pescatore - Tu sei, la Ma..."
Non lo fece finire. "Quella della fine del mondo. Tu mi
hai chiamato."
Proprio in quel momento una spruzzata di mare lo svegliò.
Salvo era confuso, smarrito, ma sapeva quello che doveva fare. Raccolse i suoi
remi, le sue cose si diresse verso casa. Il mare cominciava a placarsi. Dal suo
terrazzino spiccavano un'infinita' di panni stesi, di calzini, di fazzoletti. I
gerani, le buganvillee e le altre piante, sembravano rinate.
Marta attendeva il marito davanti alla porta. Si corsero
incontro e si abbracciarono di grande sentimento. "Sono
stata molto in pensiero per te - gli confessò - ho
visto quel tempo, mi sembrava di impazzire." "Ti
ho trascurata un po', ma vedrai che d'ora in poi starò più attento a te."
Salvo la baciò sulla bocca come non aveva fatto da tanto
tempo. Non avevano bisogno di dirsi tante parole. "Ma
cos'hai sulla bocca Salvo mio? Sa di miele! Il tuo respiro profuma di rose!
Madonna mia, mi sento tremare tutta! Cos'è questa cosa, questa sensazione! Mi
viene da piangere!"
Gabbiani in formazione tornavano dall'entroterra, segno che
la tempesta era già finita. Intanto alla casa erano giunti Camillo e Gesualdo
...
Ignazio Abbruzzo
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